I tetti ossolani sono fatti in pietra, sfruttando le caratteristiche di scistosità (capacità di sfaldarsi in lastre, localmente chiamate piode) dello gneiss. Tuttavia, a differenza di altre zone delle Alpi, lo gneiss ossolano (suddiviso nelle categorie commerciali di Serizzo Antigorio, Serizzo Formazza, Serizzo Sempione e Serizzo Monte Rosa) si sfalda in lastre piuttosto spesse (in genere, tra 4 e 7 cm), per cui i tetti risultano molto pesanti: da 300 a 500 kg per metro quadro. Bisogna infatti tenere conto che ogni pioda, delle dimensioni di circa 60×30 cm, ricopre per il 70% quella sottostante, e quindi ce ne vogliono in media 8 di circa 50 kg per fare un metro quadro di tetto. A questo peso bisogna poi aggiungere quello della neve, che tra ‘700 e prima metà del ‘900, epoca di costruzione della quasi totalità dei tetti in piode oggi presenti, cadeva copiosamente. Se fosse possibile mantenere la neve soffice anche su grandi spessori, questa peserebbe solo 30 kg al metro quadro. Tuttavia, siccome in pratica si bagna e si compressa, questa può arrivare facilmente a 800 kg. Pertanto, ogni metro di tetto doveva essere in grado di sostenere fino a 1300 kg, che è il peso di una Ford Focus.
Per sopportare un tale peso, l’orditura del tetto, cioè la travatura in legno di sostegno, doveva rispondere a una speciale conformazione, non rinvenibile nei posti, come ad esempio la Valsesia, in cui sono disponibili piode più sottili. Il legno più adatto era quello di larice, molto robusto e resistente nel tempo. Tuttavia, lo si trovava solo alle quote più alte, per cui, in basso, si utilizzava il castagno. Il legname ha la caratteristica di essere molto resistente alla trazione e alla compressione, ma poco alla flessione. Pertanto, nell’organizzare la travatura, bisognava tenere conto della ripartizione delle linee di forza. La trave di base, più spessa delle altre, era la banchina: veniva appoggiata sui muri longitudinali, evitando quindi che potesse flettersi. Su queste venivano fissate perpendicolarmente delle catene che, come dice il nome, lavorano in trazione poiché su ciascuna di esse erano inastati due puntoni, che per l’appunto “puntano”, cioè lavorano in compressione. La lunghezza dei puntoni corrisponde a circa due terzi di quella delle catene, per cui l’angolo alla base delle capriate è di circa 40-45 gradi. Questo schema costruttivo costituisce la capriata ossolana, che rappresenta l’orditura primaria del tetto. Risulta rinforzata da saette e ricoperta dall’orditura secondaria, formata da tempiere (dette anche correnti) disposte a distanza di circa 15-20 cm l’una dall’altra e tenute ferme dai cavicchi. I due puntoni venivano chiusi a forbice e fissati tra loro da un cuneo di legno, detto biröl, che poteva essere di castagno (si usava la parte interna del tronco che, come indicato dal nome durame, è più resistente) o, ancora meglio (dove disponibile) di maggiociondolo, pianta che fornisce un legno molto duro e poco attaccabile dalle tarme in virtù del contenuto di citisina, un alcaloide velenoso. Nei tetti ossolani manca la trave di colmo e le terzere, cioè le travi a essa parallele poggianti perpendicolarmente sui puntoni. Tali strutture costituirebbero infatti un peso inutile. Inoltre, essendo sollecitate in flessione, tenderebbero a spezzarsi.
Per la costruzione di 4 metri quadri di tetto occorreva in genere una giornata di lavoro di un operaio, coadiuvato da un aiutante. La disposizione delle piode doveva avvenire con particolare accuratezza per evitare penetrazioni di acqua nell’edificio. A tale scopo, ognuna di esse veniva sbarbata, cioè smussata nella parte superiore del margine esterno, affinché l’acqua scorresse facilmente lungo il tetto e venissero limitati l’infiltrazione dovuta al vento (che poteva spingere l’acqua negli interstizi tra le piode) e i fenomeni di capillarità. In certi casi, per evitare lo sgocciolamento verso l’interno dell’acqua che riusciva comunque a infiltrarsi tra di esse, ogni pioda veniva sbarbata sul margine inferiore interno e disallineata rispetto a quella che le stava sotto: in questo modo, tale margine risultava più esterno rispetto al margine superiore interno della pioda sottostante.
Realizzato da: Printgrafica Pistone e Chimbo